martedì 26 luglio 2011

LA NON PAZZIA DI BREIVIK

E' la cosa che viene più spontanea pensare: è un pazzo. Per quello che ha fatto, per come l'ha fatto, per la freddezza con cui ha ucciso dei ragazzi che stavano passando un tranquillo week end nei campi estivi sull'isola di Utoya. E' un pazzo, non c'è altro modo per definirlo. A parte "killer", che però da troppa umanità al personaggio; a parte "mostro" che però non si identifica troppo con il personaggio così lucido e deciso. Quello che rimane è comunque un aggettivo strozzato che non riesce a descrivere perfettamente il Signor (e anche definirlo signore è una forzatura) Breivik, l'assassino che il pomeriggio del 23 Luglio si è presentato vestito da poliziotto, ha raccolto una folla di ragazzi al centro di un campo e ha cominciato a sparare. Un gesto folle, oseremmo pensare. No, ha continuato imperterrito nella sua pazzia (?) ad inseguire i superstiti per l'isolotto e a finire con un colpo in testa i ragazzi feriti, indisturbato per oltre un'ora. Che cos'è allora Breivik? Tutto fuorchè un pazzo. Non bisogna cadere nella tentazione di etichettarlo come una persona incapace di intendere e di volere, o un fanatico che ha perso la percezione della realtà ed ha commesso un gesto sconsiderato. La pazzia, per molti killer, è una forma di ultima chance per salvare la propria pelle o per far cadere un minimo di colpevolezza. Che cosa volete, è un pazzo, finirà in un manicomio criminale. 
E' quello a cui puntano molti avvocati quando vedono che non c'è più niente da fare, le prove sono ineluttabili e non sanno più come difendere il proprio cliente. L'ultima carta da giocare per ottenere un pò di sconto, o comunque per incanalare un processo verso una sentenza nei confronti di un malato di mente, è l'infermità mentale.
Ma Breivik non ha nessun deficit mentale. Il suo cervello funziona bene, anche troppo, ed è stato in grado di programmare un attentato colossale, una strage curata nei minimi dettagli. Dal 2009 progettava come compiere queste operazioni, ha raccolto armi, munizioni, appuntando tutto in quelle che adesso sono le memorie di quell'assassino. Ha fatto quello che era necessario, ha detto al suo avvocato in uno dei suoi primi incontri, per sconfiggere il multiculturalismo marxista che stava rovinando il paese. Con tutti quegli stranieri, gli islamici... Breivik è un tipo tradizionalista fomentato da errate interpretazioni di testi sacri e da letture politiche filonaziste. Tutt'ora vorrebbe presentarsi al processo in divisa, segno che le sue idee le ha ben radicate dentro la testa. 
Possiamo ancora considerarlo malato di mente? Ma cos'è la malattia mentale? Non certo un atteggiamento incondivisibile portato all'estremo delle proprie azioni. Le idee possono essere differenti per ognuno di noi, così il nostro modo di pensare o di agire, ma non per questo veniamo considerati pazzi oppure dei geni. Così anche gli assassini hanno diversi modi di agire e di pensare. Quello che fa veramente la differenza, quello che determina con ineccepibile certezza che quell'individuo è pazzo e l'altro no, è la logica coerenza dell'azione di una persona. La strage di Breivik aveva uno scopo preciso ed era spinto da ideologie xenofobe e naziste. Xenofobia: la paura dello straniero, che comunque non rientra tra le malattie mentali.
L'assassino sta dichiarando con tutto se stesso la sua intolleranza all'integrazione. Ha voluto lanciare un messaggio chiaro di resistenza alla globalizzazione, al miscuglio di razze diverse, soprattutto nella sua Norvegia. Il suo modo di pensare, per quanto sbagliato, segue un filo logico, al contrario di tanti altri assassini che sono colpito da raptus o presentano evidenti e disturbate malattie psichiche.

E mentre il mondo piange e ricorda le vittime di Utoya, qualche italiano pensa bene di esprimere un'opinione azzeccatissima (soprattutto a soli tre giorni dall'accaduto) con il cinismo ed il garbo di uno che parla di un indecente film horror in cui ha rilevato incongruenze. 
"Ma è incredibile come (...) ognuno pensi a salvare se stesso, illudendosi di spuntarla."
Ognuno ha il diritto di esprimere le proprie opinioni, così come sto facendo io in questo momento, ma la differenza netta è che il suo è un giornale nazionale di rilevante importanza, il mio è un piccolo blog senza obbligo di autocensura. Inviterei caldamente il Signor Feltri ad aprire un suo blog personale, dove potersi dilettare con lo scrivere, senza scatenare putiferi, le sue affascinanti teorie antropologiche. (Leggi l'articolo)
Oppure l'altro italiano, Borghezio, quello che ritiene buone, se non ottime, le idee di Breivik. Ha condannato il suo grave gesto, certo, ma l'ha comunque preso come esempio giusto di ideologia. (Leggi la notizia)

Un ultimo punto: la legge norvegese. Detto da un italiano può sembrare un enorme paradosso, quindi lo riporto su un piano internazionale. Con quale criterio si danno 7 anni per l'omicidio di una persona, e se ne danno al massimo 21 (o 30, nel caso italiano) per quello di 90?
L'Isola di Utoya, teatro della strage.
La trovo una cosa insensata, uno sconto evitabile della pena. Non si può dare un forfait di anni di galera per l'uccisione di così tante persone. Se ne uccidi uno è omicidio premeditato aggravato dal movente eccetera eccetera.. ma se ne ammazzi 90 in più è strage. Come se la morte di ogni singolo ragazzo valesse la divisione fra anni di galera (21) e il numero di tutte le vittime (93): poco meno di 3 mesi. Come se qualcuno, fra quelle giovani vittime, non avesse incontrato gli occhi di ghiaccio dell'assassino, implorato pietà e accasciatosi a terra sotto i colpi mortali della mitraglia. No, è strage. Ed era un pazzo.