domenica 8 agosto 2010

65 ANNI DOPO, GLI AMERICANI SI RICORDANO DI HIROSHIMA E NAGASAKI.

La bomba atomica su Hiroshima (6 Agosto 1945)
Questa settimana è stata piena di date da ricordare. Sono da ricordare senz'altro quelle corrispondente ai 30 anni dalla strage di Bologna (02 Agosto), definita come "la più grande strage della storia italiana in tempo di pace", oppure quella dello sbarco del celebre Colombo che partì da Palos con le 3 caravelle il 3 Agosto 1492. Ma quella che più mi preme raccontare è quella relativa ad una delle più pagine più brutte della storia dell'umanità, una data che occorre menzionare come monito per tutte le generazioni future. Il 6 Agosto 1944, la bomba a Hiroshima (e il 09/08 anche a Nagasaki). In questa data l'uomo si è reso finalmente conto dei limiti che ha nel campo dell'intelligenza. Il genio dell'uomo, capace di costruire - grazie allo sviluppo di importanti tecnologie - due enormi testate nucleari, è reso vano dall'inadeguatezza di utilizzare al meglio le proprie eccezionali scoperte.
Non è nuovo quello che sto dicendo, se pensiamo che da sempre le più grandi menti umane vengono utilizzate principalemente per scopi militari, citando un esempio: il grande Leonardo da Vinci (mitragliatrici, carri armati, bombe a frammentazione ecc.). Ma non è questo ciò di cui voglio parlare. Di questo si sono già riempiti i giornali, i libri di storia, i documentari, le bocche di tanti politici. No, quello che mi interessa è la notiza nella notizia, ovvero ciò che è stato ricordato giustamente nel 65 esimo anniversario della strage giapponese: Per la prima volta dopo tutti questi anni, gli Stati Uniti, coloro che hanno sganciato le bombe "Little boy" e "Fat man" hanno partecipato alla commemorazione con il loro ambasciatore John Roos.
Un gesto molto significativo ed importante. Un grande segno di cambiamento, finalmente gli Stati Uniti si stringono intorno al dolore dei Giapponesi e non solo con qualche comunicato stampa. Alla loro straordinaria presenza è stata data una giusta importanza mediatica.
Non sono mancate comunque le polemiche da parte del presidente dell'associazione dei sopravissuti, il Sig.Kazushi Kaneko, che ha espresso disappunto per questa presenza senza senso, poichè "non ha nemmeno offerto un omaggio floreale". Estrapolando solo queste parole dal discorso del Sig.Kaneko, si potrebbe ribattere dicendo che comunque bisognerebbe apprezzare, almeno per ora, anche solo questo piccolo grande segno di presenza.
Ma se andiamo anche solo più a fondo, oppure se ci distacchiamo anche solo dal contenuto della notizia leggendone solo il titolo, ci si rende conto che gli Stati Uniti mancano all'appello da un pò troppi anni.
65 anni. Di tale lunghezza ce ne accorgiamo anche solo scrivendo il numero per intero. Sessantacinque, è composto da un numero di lettere significativo. Meglio tardi che mai, comunque.
Non voglio addentrarmi troppo in altre notizie e considerazioni che potrei fare, se solo immaginassi a quanta minore enfasi la stampa avrebbe dato a parti invertite. E' il Giappone ad aver subito l'attacco, non gli USA, meglio non pensare alla rilevanza che avrebbe dato la stampa alla notizia che il Giappone si è presentato dopo 65 anni alla commemorazione.
Tutti questi anni li reputo un pò troppi. Si sa che gli Stati Uniti hanno una certa allergia a chiedere scusa pubblicamente o ad ammettere i propri errori in mondovisione, fatto sta che non è sempre possibile lasciarsi tutto alle spalle senza affrontare le conseguenze delle proprie azioni. Quella presenza è stata necessaria, ma un pò tardiva, ed è giusto che qualche voce contraria si faccia sentire, o perlomeno mostri i suoi punti di vista. Perchè cancellare 270.000 vite umane con due "giocattolini" non è cosa che si può buttar giù in un boccone, e passo dunque dalle parti di quelle persone come il sig.Kaneko, portavoce di quei centinaia di migliaia di sopravvissuti "fortunati", che non si accontentano di una visita di formalità.
Più una cosa si attende e più essa si carica di aspettative. Immaginandosi un'attesa di 65 anni, è lecito pensare che, alla fine, le azioni compiute possano non mantenergli fede.