venerdì 16 novembre 2012

GESTIONE ALL'ITALIANA: PARABOLE, LIVIDI E ACQUAZZONI

Scontri a Padova (Foto Ecodibergamo.it)

Siamo inadeguati, c'è poco da dire. Inadeguati a risolvere problemi, a prevenirli e a controllarli; a dimostrarlo ci sono i fatti recenti e presenti. 
Inadeguati a governarci perché troppo impegnati a darci addosso l'un l'altro. E' colpa tua, no è colpa tua. E niente cambia. L'Italia è inadeguata e in una parabola in fase discendente, come l'economia.
Piove sul bagnato, ma per davvero! Piogge, maltempo, alluvioni, fango, paesini cancellati, il Tevere che rischia di scoppiare. Non ce l'aspettavamo. Porca miseria, va' che piove a Novembre. Opere di prevenzione sarebbero bastate, anni di costruzioni incontrollate potevamo evitarle. Ma può succedere, sono calamità. Anche se qui si parla di pioggia abbondante.
"Cazzu, non ci avevo pensato!" ammetterebbe Cetto La Qualunque, dimostrando che, sì, capita di sbagliare, soprattutto se sei in Italia, paese dei tarallucci e vino, dove la mediocrità è consentita. L'Italia è inadeguata e sta lentamente annegando.
I cittadini manifestano, chi pacificamente e chi come fosse a uno stadio - come se anche lì fosse lecito, ma lasciamo stare - contro i celerini bastardi a prescindere, perché sono lì, servi dello Stato, a impedire di far confusione. Ora, premettendo che su migliaia di testa pensanti che vanno a protestare senza alcune intenzioni di essere violenti ce ne saranno senz'altro alcune bacate per le quali manifestare è un sinonimo di far casino, premettendo questo, dicevo, possibile che le forze di polizia non siano in grado di gestire situazioni del genere senza sfociare in un cinghia mattanza d'altri tempi?
Non fornisco alibi a quei cretini violenti che spaccano tutto, ma sollevo solo la questione - grave, secondo me - di malfunzionamento gestionale delle situazioni critiche. Il poliziotto deve saper controllare la propria emotività e non lasciarsi andare a paura e rabbia, dato che, si presume, per entrare in polizia ha superato dei test psicologici e dei corsi mirati a gestire tutto ciò. Non per intendere che debba essere un super-uomo anziché una persona semplice, come tutti, però non può nemmeno comportarsi da semplice ragazzo con un casco, una protezione addosso e un tonfa da roteare per aria.
L'Italia è un paese piegato dai lividi, non di un tonfa, ma di un'inadeguatezza totale.

venerdì 9 novembre 2012

FROCI, NIENTE FRETTA: SIAMO ITALIANI!

Hollande e Obama (Foto levif.be)
L'America cambia, stravolge tutto: Sì ai matrimoni gay e sì alla cannabis.
Anche la Francia, come promesso da Hollande, dà l'ok all'unione fra omosessuali.

E' quasi sconcertante il fatto che in altri paesi ci sia il tempo per fare passi avanti a livello di civiltà e rispetto dei diritti altrui. In questo periodo di forte crisi economica ho notato che in Italia si tende a tralasciare qualsiasi altro aspetto che non riguardi il tasso di disoccupazione, lo spread, il precariato, in generale l'economia, anche a livello di pensiero. La mente dei cittadini è completamente occupata, in parte giustamente, sull'impellente necessità di risolvere il problema della crisi globale, imponendo al tempo stesso che tutti, nessuno escluso, pensi solo ed esclusivamente a quello. Ne viene fuori che altri paesi, altre democrazie, si evolvono cercando al contempo (udite udite) di risolvere il problema di cui sopra. Fra Senatori, Deputati, ministri, minestroni e tutta la combriccola italiana pare che non ci sia tempo per soffermarsi su altri problemi, fare due cose contemporaneamente. La politica è femmina solo sul dizionario, altrimenti sarebbe in grado, così come proverbialmente riconosciuto, di fare due cose contemporaneamente, al contrario dell'uomo.
"Adesso non c'è tempo per pensare a queste cose. Ci sono cose più importanti da risolvere." archiviano i giganti quando qualcuno prova a sollevare la questione.

Un problema per volta, per favore. Che non ce la facciamo. (Come se, quando c'era tempo, avessimo avuto voglia di occuparcene).


In un paese di Cristi e Madonne, di Macho e omofobia non ci sarà mai il tempo di soffermarsi su problemi del genere.

Diciamoci la verità: l'America è sempre stata un po' pazza, è un paese di esaltati e stravaganti. Vogliono assecondare lo sviluppo della droga e della perversione? Che lo facciano.
E la Francia, sì, è già più vicina a noi, molto, ma pensiamoci bene: quella lingua, quelle letterine a bocca stretta e quella "R" moscia hanno sempre evocato un che di frocio. Finocchio francese, appunto.
Allora va bene così, dai, anche stavolta abbiamo ragione noi: ITALIANS DO IT BETTER. 

mercoledì 31 ottobre 2012

"CHIU' FORT'!" "CHIU' FORT'!"

Monti dice che il governo attuale è sì maledetto perchè ha approvato riforme spiacevoli, ma che è comunque più apprezzato dei partiti. Dargli ragione mi disarma un po', perchè in un certo senso è come se ammettessi una qualche innaturale propensione al masochismo. Tutti questi sacrifici chiesti a noi (come al solito), tagli di qua, potature di là, mi eccitano come Rocco (Papaleo) in un film di Pieraccioni:

"Chiù fort'!"


"Ah, sì.. picchiami, Monti, picchiami. Fammi soffrire e sanguinare. Ti darò il mio sudore, sì, e il mio sangue, come chiedi.."

Quello che però non considera è che questo fatto, che mi induce a privarmi della dignità di cittadino e a picchiarmi da solo - per nostalgia - quando anche solo per un giorno non vedo Monti in tv, è dovuto semplicemente alla sua NON appartenenza a gruppi politici; né, cioè, a una sinistra falcidiata da eterni dissidi interni e né ad una destra, per così dire, ad personam. Pertanto, le misure che ha adottato sono state prese con l'assoluta tranquillità di chi non deve rispondere delle proprie azioni davanti alle coalizioni che lo supportano; senza, cioè, il rischio impellente di una crisi di governo o di perdita di voti alle prossime elezioni.
In un certo senso, anche Monti sopporta e supporta il suo stesso masochismo.

"Che gli schiaffi vengano a me", può tranquillamente urlare; tanto il paese non sa verso quale parte politica (destra, sinistra?) indirizzare i propri reclami, e l'opposizione non può gettare fango sulla maggioranza per far sì che gli elettori pendano verso la loro parte.

Mentre i partiti restavano immobili, impauriti da un passo falso che li condannasse al vile grido "la destra/sinistra ha aumentato le tasse: la prossima volta voterò la sinistra/destra!", Monti ha dato un'occhiata ai bilanci, ha guardato la colonnina "DARE", la colonnina "AVERE" e con impegno cieco e zelante ha cominciato a racimolare soldi a destra e a sinistra (non inteso come parti politiche, ovviamente).

Facile rimettere le cose a posto così, che ci vuole? La nota positiva è che almeno questo governo ha fatto tornare di tendenza uno sfogo carico di soddisfazione, senza connotazioni e generico, come:  "Governo ladro!"

giovedì 11 ottobre 2012

IL "RAFFREDDORE" GRILLO

Premetto che ammiro molto quei cittadini che grazie a Grillo hanno deciso di partecipare attivamente alla vita politica del loro paese. Fanno bene, è giusto che l'Italia si svegli dal suo torpore, reagisca e cambi volto. Ma vorrei, allora, che mi spiegassero il motivo concreto della traversata che il fondatore del M5S ha compiuto ieri mattina. Vorrei sapere perché, partendo dal voler cambiare il Bel Paese, si finisce con l'utilizzo di antichi mezzucci di propaganda e di concetti banali rivenduti come prodotti innovativi.

Francamente non capisco il motivo della nuotata di Grillo dalla Calabria alla Sicilia e il suo modo di fare NON  politica, il suo voler essere differente facendo, paradossalmente, le stesse identiche che già avevano fatto altri. Perché se fatto da lui tutto sembra illuminarsi di una luce nuova, semplice, ma divina?

L'uomo del cambiamento che usa lo stesso linguaggio divertente, scurrile e "vero" di un Berlusconi qualsiasi.

"Altolà al paragone!" 

Eppure in un certo senso, con le dovute proporzioni, delle sottili modifiche, è la stessa solfa.

Grillo credo abbia lo stesso principio del virus del raffreddore: si modifica quel tanto che basta da non permettere alle nostre difese immunitarie di riconoscerlo e respingerlo, e quindi ha libero accesso al nostro sistema e ci indebolisce piano piano. Se proprio vogliamo usare il linguaggio di Grillo, ci rincoglionisce.
Dopo tanti starnuti, colpi di tosse e mal di stomaci causati dall'attuale classe politica, tutto il resto ci sembra un vento nuovo, una brezza primaverile per la quale non è necessario uscire col giubbotto. Ma sì, ormai è estate, esco a maniche corte!

Grillo che cavalca le onde del mare per giungere in Sicilia, un clamore mediatico degna di un impresa eroica. Se i messaggi che vogliamo diffondere sono "agire", "operare", "fare qualcosa di concreto", che senso hanno queste metafore, queste traversate?


Ho diversi amici che lo sostengono e per questo molto spesso mi cimento in approfondite discussioni sulla reale capacità che può avere questo il suo movimento. Tralasciando l'aspetto politico e tedioso della collocazione del M5S a destra o sinistra (materia di difficile definizione anche per Giorgio Gaber in una sua celebre canzone), mi chiedo se veramente sia questo il massimo che possiamo aspettarci come alternativa alla politica di oggi: un movimento costruttivo, sì, ma a mio parere molto astratto e ipotetico, quasi utopico.

"Preferiresti rimanere così?" m'incalzano sempre alcuni amici quando si acuisce la discussione.
"No, ma non credo affatto che lui sia l'alternativa valida." Abbiamo talmente paura del futuro, che abbracciamo la prima cosa che ci capita, l'importante è che abbia un aspetto minimamente differente.

Io non sono dalla parte della classe politica attuale, ma credo semplicemente che essa dovrebbe essere noiosa. Preferisco un linguaggio più forbito piuttosto che uno da bar.
Preferisco avere uomini di cultura e dalla dialettica un po' di nicchia piuttosto che i parlatori del popolo. 
La dialettica è un'arma a doppio taglio: fa capire, ma allo stesso tempo persuade. 
Come quando Berlusconi dichiarò: "abolirò L'ICI" e tutti compresero al volo perché parlò il linguaggio della gente. Fu chiaro e diretto.
O quando la Lega Nord grida "islamici di merda!" che non è affatto suscettibile di diverse interpretazioni.

Sulle ali dell'entusiasmo o della disperazione si ottengono sempre i maggiori consensi, con gesti semplici e parole comprensibili anche da un bambino: CIAF CIAF!

martedì 18 settembre 2012

VIAGGIO IN IRLANDA

Veduta del faro dalle scogliere di Howth

Partire da soli, soprattutto per la prima volta, non è mai semplice. La testa si riempie di domande, di dubbi esistenziali, di calcoli razionali che ti spingono a fermarti e a ripensarci continuamente. E’ pericoloso? Può annoiare? Come si passano le giornate?
Poi d’un tratto capisci che se stai troppo a pensarci non partirai mai. Allora fai il biglietto, prenoti un’ostello e non ci pensi più. Adesso sei costretto a partire, qualunque domanda ti venga in mente.

A fine viaggio, rientrato nella routine quotidiana, cerchi di fare un resoconto dell’esperienze appena vissute e degli incontri fatti. E le domande, a questo punto, sono libere di far capolino:


Cosa mi ha spinto a partire?

Sentivo il bisogno di mettermi alla prova, anche se solo in una città per nulla dispersiva come Dublino. Volevo vivere un’esperienza diversa, fortemente interiore come credo sia in generale il panorama che offre l’Irlanda. Avevo chiesto consigli a Francesca, la blogger di Viaggiare da Soli, la quale mi aveva dato come punto di partenza per un viaggio simile la necessità di scegliere un posto la cui natura fosse impetuosa e imponente, che mi lasciasse senza fiato.


La mia destinazione?

Il sentiero pericolo delle Cliffs of Moher
Perché in Irlanda? Per la pace che essa emana con i suoi paesaggi maestosi, il suo verde silenzioso, tappeto che ovatta i pensieri e riattiva la circolazione dell’anima. Per la natura da cartolina, per respirare una vita diversa ma familiare perché calorosa, tipica irlandese.
Dublino era il mio punto d’appoggio per poi provare ad allontanarmi a poco a poco ed esplorare l’Irlanda.

“Non credevo che saresti partito davvero.”

Una delle mie soddisfazioni più grandi è stata sentirmi dire da persone a me molto vicine che pensavano che non avrei mai preso la decisione di viaggiare da solo. Non sono un tipo che si getta nelle avventure o dà l’impressione di essere così indipendente. Molti pensavano fosse un’idea estemporanea, un'altra considerazione da sognatore che s’immagina “quanto sarebbe bello partire da soli”, e scoprire che oltre a stupire me stesso ho stupito anche loro mi ha riempito di orgoglio.
Viaggiando da solo hai la necessità di confrontarti, di metterti in gioco e di tirare fuori lati nascosti che tra gli amici o i familiari tendi a comprimere inconsciamente.


A parte il primo giorno in cui mi metteva a disagio mangiare da solo nella living room di un ostello, o in un prato sotto il cielo plumbeo di Dublino, i giorni successivi sono diventato più consapevole di tale condizione di viaggiatore solitario e mi ha dato modo di prendermi il tempo che cercavo per me, per osservare e notare i dettagli che mi circondavano, con la calma e la tranquillità che il paesaggio mi consigliava.
Non sono un tipo estroverso che ama fare conoscenza con sconosciuti in un pub qualsiasi, ma duranto questi tipi di viaggio hai solo due scelte: o non parli con nessuno, o con qualsiasi pretesto fai due chiacchiere con il vicino. Bastava una parola: una richiesta d’informazioni su dove si trovava il Phoenix Park, una domanda sui posti da vedere, oppure un semplice “è libera questa sedia?”; e da lì potevano partire brevi e piacevoli conversazioni.


La lingua?

Il mio inglese è scolastico, l’ho studiato solo fino al diploma, ma essendo impiegato presso una Compagnia di Spedizioni internazionali ho la necessità di sapere l’inglese per parlare con alcuni clienti. Ciononostante, forse per soggezione o per il timore di fare brutte figure con i clienti, ho sempre evitato per quanto possibile di avviare lunghe conversazioni, conseguentemente reputandomi inadatto a parlare e capire altre lingue.
La sorpresa è data invece dalla fluenza e la facilità di capire e farmi capire che ho riscontrato durante la mia vacanza relazionandomi con gli altri. L’inglese è una lingua semplice, e con poche piccole parole è possibile esprimere svariati concetti e soprattutto non perdersi o morire di fame.
Più difficile era certamente comprendere gli slang che utilizzavano le persone che incontravo. Alcuni hanno ancora delle difficoltà a capire quale sia il reale significato della frase “parlo un POCO l’inglese”, e sembra al contrario che aumentino la velocità delle parole.
E’ stato bello notare che a fine vacanza avevo ancora il mio dizionario italiano- inglese sepolto sul fondo della valigia, considerando che prima di partire lo consideravo un elemento essenziale.


Gli incontri fatti?

Viaggiando non si vedono solo oasi naturali e strutture architettoniche bellissime, ma ci sono anche altri piccoli dettagli che anch’io, prima di questo viaggio, non ritenenevo affatto indispensabili. Stando da soli, ogni persona che incontri ti offre qualcosa. Niente di materiale, sia ben chiaro, ma è pur sempre un dono che va a impreziosire il tuo bagaglio culturale e ad ampliare seppur di poco la mentalità. Ti arricchisci della storie di vita di gente che non conosci, e ascolti racconti che vengono da paesi diversi, con emozioni comunque uguali alle tue, facendo sì che si mescolino senza che tu te ne accorga. Di incontri ne ho fatti parecchi, alcuni dei quali brevissimi, mentre altri si sono protratti anche per giorni successivi.
Innanzitutto partivo dalla scusa del turista che non sa come arrivare in un posto ed è costretto a chiedere indicazioni. Su ogni strada che battevo chiedevo informazioni a qualcuno. Non importava il fatto che sapessi già dove andare, piuttosto volevo sentire voci diverse, espressioni diverse e accenti diversi. Questo aiutava a comprendere la lingua e a parlare con le persone che a primo impatto mi piacevano.

Soupheau, Manon, Jenny ed io (perdonate la mia la felpa tamarra)

Invece nei pub o nell’ostello era più semplice. Ho notato come sia estremamente facile avvicinare qualcuno quando si è da soli e parlarci per un bel po’, piuttosto che stando in compagnia di uno o più amici. Dev’essere una questione di presenza e sicurezza: un ragazzo che sta da solo e inizia a parlarti vuole solo scambiare quattro chiacchiere sorseggiando una birra; un gruppo di amici può invece anche starsene per conto suo a parlare, non ha bisogno di risposte di circostanza. Regola valida per le ragazze che ho conosciuto. L’approccio non era mai visto col pregiudizio dell’italiano che tenta di flirtare, ma come un invito a una piacevole e spensierata chiacchierata.

Parlare con le persone che non conosci è come aprire una parentesi improvvisa dentro le vite degli altri, scrutandole, assaporandole per poi uscirvi con qualcosa di significativo da tenere per sé. Siano esse storie banali o più entusiasmanti, vivi la varietà del mondo che ti circonda in brevissimi istanti: Jenny, la biologa australiana che mi elencava i fiori più belli delle contee irlandesi; Manon e Sopheau, la coppia canadese sempre in viaggio per lavoro, con cui ho passeggiato per le paurose Cliffs of Moher; il diciottenne Friedrick e i suoi amici tedeschi, che chiedono scusa al mondo per Hitler e per i Tokio Hotel; le giovanissime spagnole Mariona e Sara, che pur essendo in Irlanda per imparare la lingua mi chiedevano di parlare italiano perché “me vuelve loca tu idioma”.
                                                                                  
E poi c’era Esther, la londinese che lavorava presso i campi estivi di Dublino; il californiano Matthew, futuro erede di un ricco patrimonio lasciato dal nonno, a patto che girasse il mondo per fare esperienza, nonché addetto alla regia delle partite di hockey su ghiaccio negli States; gli italiani Luca e Alessia, nei quali ho riscontrato tantissimi interessi in comune e ho esplorato le bellissime scogliere di Howth.
Tutti hanno contribuito a rendere non solo piacevole un attimo, una serata o giorni interi, ma anche a offrirmi un piccolissimo assaggio delle loro culture: l’allegria degli Irlandesi, la gentilezza dei canadesi, o la scaltrezza dei tedeschi.
Le mie compagne di stanza tedesche
Queste impressioni si raccolgono con molta più premura quando si è da soli, perché come già detto si fa attenzione al particolare e ci si lascia, volenti o nolenti, più andare di quanto si pensi.
Una doverosa menzione la meritano le mie compagne di stanza, le giovani infermiere tedesche che il buon Dio aveva assegnato in camera mia: Sarah, Angelika, Julia e Alice, ma che ahimé, caso veramente raro fra i tedeschi, non sapevano granché l’inglese (oppure è quello che hanno voluto farmi credere?).

Avrei una lista completa di persone da elencare e di aneddoti da raccontare, tutto grazie a quelle caratteristiche che non credevo di possedere e che, stando da solo, ho tirato fuori un po’ per volta.

Fare con calma.

Rilassandosi sul “tappeto” del Phoenix Park..
Prerogativa del mio viaggio era prendere tutto con estrema calma. Mi sarebbe piaciuto vedere molti più posti di quanti ne ho visti stando lì, ma dopo pochi giorni mi ero accorto che correre per tutta Dublino per fare un tour de force a giro della città mi sembrava piuttosto deleterio perché non riuscivo ad apprezzare nulla. Ho capito l’importanza di fare le cose con calma, di vivere la vacanza non più da turista, ma da lento visitatore. Diverse volte mi sono dovuto sforzare per frenare le gambe che come d’abitudine m’imponevano un ritmo rapido e frenetico.
Invece è piacevole vedere le cose con calma, assaporarle con gusto paziente.                                                


L’oggetto immancabile?

Un quaderno, una penna e un buon libro. Volevo rilassarmi, descrivere le sensazioni, aprirmi ad un viaggio riflessivo che, comunque, viaggiando da soli si è costretti a fare. Trattandosi d’Irlanda, con le sue distese verdi, le sue scogliere e la sua tranquillità, era impossibile non lasciarsi trasportare dall’emozioni.
Di foto ne ho fatte parecchie, ma la macchina fotografica non la reputavo importante quanto dei fogli su cui annotare le proprie impressioni e il diario di viaggio: mentre tutto ciò che si vede rimane limpido nei nostri ricordi, i pensieri e le riflessioni sono effimere e rischiano di scomparire per sempre se non si trascrivono immediatamente.
La ricostruzione di questo resoconto mi sarebbe stata impossibile se non avessi avuto con me tutto il materiale.


Le foto sono il riempitivo, un richiamo personale alla memoria di un viaggio speciale che v’invito a fare. Da soli, ma non in solitudine. C’è differenza.








venerdì 20 luglio 2012

SALVIAMO SARA TOMMASI

Questo post già lo odio, perché in poco tempo rischierò di trovarmelo fra gli articolo più letti, secondo forse solo al post su Belen Rodriguez - ma il motivo è da ricercare esclusivamente nel titolo esplicito e incoraggiante che gli avevo dato. Per questo il titolo di questo post non è "IL VIDEO HARD DI SARA TOMMASI" - che è costituito statisticamente dal 90% delle parole attualmente più ricercate su Google -, ma è più semplice, quasi compassionevole. Salviamo Sara "fiorellino" Tommasi.
I miei intenti, lo dico subito, non sono affatto benevoli nei confronti di questa - come la vogliamo chiamare, velina? soubrette? attrice? ballerina? - ragazza.



Sara Tommasi è pazza. L'ha detto la televisione, l'hanno detto i genitori, l'ha detto l'avvocato, lo pensano un po' tutti. Ma mica da adesso, eh?
Ma il fatto è che ha superato il limite: va bene mostrare la tua patagnocca in televisione, o nel camerino di qualche agente, o in qualche Bunga Bunga, o per contrastare il signoraggio delle banche, ma mostrarla così, senza neppure una parvenza d'ipocrita pudore.. no!

E' un peccato, perché finché lei si svestiva per protestare contro le banche io ci avevo creduto. Tutti ci avevano creduto e avevano pensato al messaggio che lanciava. Solo gli zozzi pensavano a guardarle il culo. Zozzi, cafoni e privi di senso civico. Qualcuno pensi alle banche, porca miseria!

Piccolo appunto: adoro le ragazze che si spogliano per protesta. No alle pellicce, via i vestiti. No alle banche, via i vestiti. E pensare che un tempo i monaci si bruciavano in piazza per protestare. Le mode cambiano, poveri loro. Ad averlo saputo prima, che bastava spogliarsi.

Parlavamo della pazza che ha superato il limite. Sì, perché fare la maiala in televisione è solo showbusiness e se non condividi questo pensiero sei un moralista; mentre fare un porno va troppo oltre, sei una zoccola. E che il pubblico non si azzardi a pensare che la linea che divide lo showbiz dal pornmovie sia talmente sottile da non vedervi una sostanziale differenza. La differenza c'è, eccome: lo show è visto dal pubblico italiano, il pornmovie solo dai depravati. Semplice, no? La prima è arte, la seconda è oscenità. 

E Sara Tommasi intanto smentisce tutto dopo aver fatto il passo più lungo della gamba: Mi hanno drogata. Ho un chip alieno nel cervello che mi dice di fare cose cattive. Era una sosia, quella nel film. Per ultima, ho il cancro al fegato.
Vi ricorda qualcosa? A me sì, questa famosissima scena tratta dal film The Blues Brothers:



Adesso però dobbiamo aiutarla tutti. Vi prego, non sparate sulla croce rossa, non accanitevi troppo. E' una persona che ha perso il cervello, oltre che la dignità.
Siamo d'accordo, aiutiamola. Ma questa è una persona che ha perso la testa avendo i soldi, come la classica viziata che si è rovinata dalle droghe, dal "successo" e da chissà cos'altro. E che dovremmo fare, non parlarne per aiutarla a uscire da questo tunnel e rischiare di rivederla fra qualche anno in tv?

(Visto che adesso va di moda, conosco gente che per protestare a suo favore si spoglierebbe. Subito, all'istante. Deja vu.)

Voglio dire: chi se ne frega della Sara Tommasi? Che si riprenda presto, vada in clinica, si curi e vada a fare qualcosa di utile.

Quindi Sara Tommasi è pazza adesso. Ma vi prego, vogliamole bene. Stiamole vicino. 
Ehi.. non così vicino!

domenica 15 luglio 2012

SCUOLA BENITO MUSSOLINI. PERCHE' NO?

"Perché non intitolare una scuola al buon maestro Benito Mussolini?"
S'è chiesto con grande semplicità il consigliere regionale PDL Giovanni Iotti, tanto che ha deciso di passare dalla teoria alla pratica: vuole presentare l'arguta proposta al prossimo consiglio comunale. Magari si aspetterà di ricevere qualche complimento per la dovizia di particolari con la quale giustifica le sue intenzioni:

"Non intendo esaltare la figura del Mussolini capo del partito fascista. Intendo invece far ricordare la figura di Benito Mussolini insegnante nelle scuole elementari".

Ah, ecco. Allora sì, chiedo venia, signor Iotti. E io che per un attimo m'ero lasciato sfuggire il solito moralismo da comunista indottrinato. E io che avevo pensato per un secondo che volesse ricordare il Mussolini despota. Mi sbagliavo, mi sbagliavo alla grande. 
Tutt'altra faccenda, questa qua: Mussolini era il gran maestro. Maestro di rispetto, nei metodi d'insegnamento, nella tolleranza e nello zelo.

"Ne hanno sentito parlare come di un maestro severo, ma bravo e preparato."

Un po' severo.
Ma ci sta, dai. Anche la mia insegnante di Matematica era incazzosa.



Poi se qualcuno associa erroneamente il "Duce" Mussolini con il "Prof", allora è facile scatenare reazioni così forti. La questione morale, il "me ne frego" e il delitto Matteotti sono solo piccole macchie con cui si sporca qualunque maestro di elementari.
Era un dittatore, eh. Ma vedessi come insegnava il latino. 

Anche la mia maestra di matematica, vuoi che non abbia mai fatto picchiare qualcuno che le obiettava l'utilità del Teorema di Ruffini?

Un po' come l'elettricista stupratore citato da Roberto Benigni, e sempre relativamente alle grandi gesta del Benito: Ha abusato della moglie e della figlia del cliente, ma non lo si può certo biasimare, dato che ha fatto un impianto idraulico eccellente.



E Iotti che ci aveva pensato così intensamente, la notte, a questa proposta. Gli dev'essere apparsa in sogno, chissà.
Anche il Mussolini padre pare che non fosse niente male: un padre amorevole e delicato. Facciamo la festa del Papà e chiamiamola Benito.
Festa del papà, e non del "Papi". Quella è già occupata..
Oppure, se tanto non dobbiamo considerare la loro parte politica possiamo creare un'Istituto d'arte intitolato a Adolf Hitler. Il pittore, certo.
Purtroppo la gente si ricorda di lui solo per quel partitone di Risiko finito male. Ma in realtà aveva un grande senso artistico, dava delle pennellate...

Non è una provocazione, è un dato di fatto. Se è lecito ragionare in questo modo, allora tutti quanti possiamo trarre ispirazione dalle virtù più nascoste di tanti altri personaggi del passato per intitolare a loro nome qualche istituto pubblico o privato.

Avanti, allora, con le proposte: quali sono i personaggi storici che vorreste rivalutare umanamente o professionalmente intitolando a loro nome un'istituto statale?

venerdì 29 giugno 2012

PER COSA "KAISER" ESULTIAMO?

Italia 2, Germania 1. Gli azzurri trionfano e una nazione scende in piazza per festeggiare i suoi eroi appena sbarcati in finale; stamani i giornali esprimevano la loro più grande soddisfazione in linea con il loro stile editoriale. Probabilmente già a fine primo tempo, sul 2 a 0, alcuni giornalisti avevano iniziato a buttare giù un articolo mettendo da parte la scaramanzia in favore dell'allettante idea di risparmiare tempo per scrivere. a fine partita. Immaginate dunque quanto possano essersi sforzati gli editori di Libero e Il Giornale quando questa mattina hanno hanno avuto l'ardire di scrivere titoli a dir poco discutibili:



La stonatura più rilevante, a parte il cattivo gusto delle parole, è l'ossessiva interpretazione economica che viene assegnata ad una vittoria calcistica. Italia - Germania è Monti - Merkel. Calcio ed economia, non vedo come possano incastrarsi e concatenare i loro esiti.
E' chiaro che gli Europei quest'anno sono stati una piccola rappresentazione degli scontri tra imperi economici e piccole realtà di paesi in crisi, vedesi Grecia - Germania, dai più definita "Davide contro Golia", ma queste non sono altro che semplici associazioni mentali dei media, rappresentazioni immaginarie di una realtà che invece è pratica e tangibile. Per quanto possa essere divertente e importante per noi italiani il gioco del calcio, resta pur sempre netta la divisione tra ciò che è uno sport e la vita reale. Sono metafore che possono far gioire un paese, dimenticare per qualche ora o giorno i problemi personali, ma non possono seriamente essere comparate con altre situazioni decisamente più serie. 

Allora che senso ha fare un titolo contro la Merkel? Quello del Giornale, poi, è veramente osceno come titolo: Scherno antisportivo, derisione, assenza di stile e volgarità. Un gesto dell'ombrello stampato in neretto.

Può dare un po' d'entusiasmo, ma una partita non può risollevare le sorti di un Paese, diminuire uno spread, definire fallimentare una gestione economica - quantomeno non scellerata - della Germania.
Spinoza, il famoso sito internet dalla comicità irriverente e pungente, qualche tempo fa scrisse in merito agli Europei la battuta  "La Svezia è fuori dagli Europei. Beccati questo, Stato sociale!"

In qualche modo rappresenta tutto il comico paradosso del pensiero collettivo e che a quanto pare è radicato anche nei giornalisti, che invece dovrebbero esserne colpiti solo dal lato personale ma non professionale: rapportare una partita di calcio alla vita reale; decontestualizzare una vittoria e associarla a una realtà totalmente diversa. 
Finchè i giornalisti sportivi giocano con le parole e simbolismi per confezionare un articolo leggibile e interessante, può andare anche bene: ma non bisogna mai prendere tutto così sul serio. 
E' altresì vero che dalla fine della seconda guerra mondiale le partite di calcio sono state sempre più considerate come le battaglie che un tempo affrontavano i Paesi, le guerre virtuali tra le Nazioni per definire quale sia la più potente. Non per sminuirne il significato o spengere ogni entusiasmo, ma il calcio è pur sempre soltanto uno sport, seppur nazionale.
E parlando di guerre virtuali mi viene in mente quando giochi alla PlayStation e riesci a battere un torneo fra tutti i tuoi amici. Batti il tuo amico laureato, batti quello che è più bello di te, quello che ha una carriera lavorativa in ascesa. Li batti e ti senti qualcuno anche solo per un po'. Hai la soddisfazione di dire a te stesso "sono più forte di lui". Sai che la vita è un'altra, ma non ti interessa più di tanto. Tuttavia, non saprai manovrare la tua vita, ma sai benissimo maneggiare un joystick. Comunque per un attimo ti senti ardere dalla soddisfazione.





Ecco. Noi ieri abbiamo afferrato il joystick e abbiamo battuto una grande squadra. Abbiamo tutti il diritto di gioire per questa vittoria, ma mantenendo la consapevolezza che questo glorioso risultato rimane circoscritto nel'ambito sportivo.

Cosa c'entra tutto questo con lo Spread, gli Eurobond, l'evasione fiscale, il debito implicito ed esplicito?

Davvero Balotelli con la doppietta di ieri ha contribuito a risollevare il Paese? E in che misura?

mercoledì 23 maggio 2012

..PERCHÈ OGGI È PIÙ BELLO ESSERE ITALIANI!

Si concludeva così l'esaltante telecronaca di Fabio Caressa quando, vincitori dei Mondiali di calcio nel 2006, un trionfante Fabio Cannavaro si apprestava ad alzare la Coppa del Mondo.
È una frase che gli italiani pronunciano molto poco, a dire il vero solo in occasione di vittorie sportive. "Italiano" e "Fiero" non sono parole che si accostano troppo bene nelle bocche degli italiani: la lingua si annoda, le lettere s'intrecciano tra loro e le corde vocali rimangono bloccate. Difficile respirarne l'odore nelle strade, nei bar e fra la gente che parla dei problemi del paese. Tutto semmai è circoscritto alle regioni, alle città o ai movimenti: "Fiero" e "padano", "fiero" e "napoletano", "fiero" e "toscano".. ma della penisola proprio non ne vogliamo parlare bene, forse perchè, come disse Roberto Benigni in un intervento a Sanremo 2011, temiamo che il patriottismo sfoci nel nazionalismo e nell'estremismo politico. 
Anche. Oppure è per altri motivi.

Un murales con i giudici Falcone e Borsellino 


"Oggi è più bello essere italiani" è una frase che stona, soprattutto oggi che è il ventesimo anniversario della strage di Capaci, quella in cui persero la vita per mano della Mafia il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Proprio l'Italia, le cui mani sono macchiate del sangue di tanti omicidi e lavate da altrettanti Segreti di Stato, è la piccola impresa a conduzione clientelare/familiare della quale siamo costretti a fidarci per andarvi a comprare il pane. È indispensabile, è bella, è relativamente confortevole, ma la odiamo: ci alza i prezzi, ci ammazza, ci deruba e ci mente.
Per la strage di Capaci c'entrano anche i Servizi Segreti. Lo Stato. Non la Lombardia, non l'Emilia Romagna, non la Puglia, bensì tutto il paese. La mafia non è più in Sicilia, Regione già depauperata delle sue ricchezze, ma è un po' ovunque, è radicata nelle istituzioni, nelle vene di tutta la Penisola. Si potrebbe dire, cadendo nel più vile degli stereotipi, che la mafia è l'Italia. Come possiamo, allora, volerle bene?
Paolo Borsellino, anch'esso un magistrato e anch'esso ucciso dalla Mafia nella tristemente famosa strage di Via d'Amelio, in un'intervista disse: "Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo".
Questa frase è l'emblema della nostra storia: se tutto va bene, se non ci sono stragi, allora significa che stanno facendo affari entrambe le parti.

Sarebbe bello concludere con una frase così, con un messaggio così forte del giudice Borsellino, ma non è possibile: tra poche settimane partiranno gli Europei di calcio, allora i festeggiamenti, il tifo e i cori alimenteranno la speranza che la nostra Nazionale possa vincere l'ambìto trofeo. 

Allora sì, che sarà bello essere italiani.





giovedì 17 maggio 2012

UN APPLAUSO A GIULIANO FERRARA

Giuliano Ferrara durante una sua trasmissione
Un applauso a Giuliano Ferrara, l'uomo che ha avuto il coraggio di toccare l'intoccabile, Roberto Saviano, e di dirgliene quattro. Prima o poi qualcuno doveva rendere giustizia alle verità su quell'uomo infelice. Nel suo articolo ha detto quello che tutti noi pensavamo, senza tralasciare nulla, neanche il più piccolo dettaglio su ciò che è quello "scrittore". Le virgolette non sono messe a caso, ma hanno uno scopo preciso: alzi la mano chi ha letto quel libro assurdo sulla Mafia capendoci qualcosa, e soprattutto si pronunci chiunque abbia trovato scorrevole e piacevole la sua lettura. Un libro, ha detto bene Ferrara, sconclusionato e privo di ogni logica. 
Ma si sa, l'Italia si fa comprare con poco. Basta truccare da paladino un "giornalista" qualunque ed ecco che che è pronta a vendersi, a gettare soldi per mitizzare un cretino. 

Un applauso a Giuliano Ferrara, perché questo Paese non dà ancora credito alla meritocrazia e per questo ci tocca sorbire dilanianti sentenze sulla vita, la morte e la camorra da uno che ha ricevuto riconoscenze in tutto il mondo, laurea ad honoris compresa, ed ha all'attivo un libro scialbo divenuto best seller nelle sole Germania, Olanda, Belgio, Spagna, Francia, Svezia, Finlandia, Lituania, Albania, Israele, Italia e Austria.
Il suo spirito da contestatore sessantottino non muore mai, e Ferrara fa bene a tirarlo fuori adesso.
Roberto Saviano con la scorta
Ci vogliono coerenza e umiltà, l'aveva capito anche Emilio Fede: quella scorta è a carico dello Stato, a carico dei cittadini, e in realtà non serve a niente se non ad alimentare il mito e a far pubblicità a quel mascalzone. Emilio Fede lo sa, quello che vuol dire avere la paura di ricevere aggressioni da qualche pazzoide o da qualche giornalista di Striscia la notizia. Saviano, invece, ci logora continuamente con quella storia di una Mafia che lo vorrebbe morto e cementificato in qualche posto, come in quei vecchi film gangster. Film, appunto. Ma la gente è cieca, e si affida solo alla vista dei vari magistrati, dei perbenisti e degli ottusi come Fabio Fazio che lo idolatrano come fosse il nuovo Messia.
In questo marciume, in questa polveriera di mediocrità intellettuale solo Giuliano Ferrara è riuscito a non farsi risucchiare dall'irrazionalità del pensiero collettivo. Onore a lui, il comunista Giuliano Ferrara, coerente fino in fondo e illuminante nei suo concetti.

Applausi a Ferrara per il suo aplomb e per lo stile di stesura del suo articolo, a mio parere un po' troppo pacato. Ha detto bene: anche Federico Moccia e Fabio Volo hanno scritto best sellers, ma nessuno ha mai proposto loro delle carriere da divi di Hollywood come invece hanno dato a Saviano. E' stato un esempio perfetto di incoerenza e ingiustizia. Solo Moccia sta riuscendo con calma a fiorire politicamente, in veste di Sindaco, a Rosello. E' già un passo avanti, mentre attendiamo caldamente che Fabio Volo possa godere degli stessi favori.

Un applauso al berlusconiano Giuliano Ferrara, forse troppo tollerante sul nuovo programma che ingiustamente hanno affidato a Saviano e Fabio Fazio, "Quello che (non) ho". E' un programma di nicchia, insulso, invisibile agli occhi dello share: solo la terza serata di sempre di La 7, con un 12,3% nella prima serata. Il programma di Ferrara, Qui Radio Londra, in onda ogni sera su Rai 1, nonostante perda fin dall'inizio del programma 2 milioni di telespettatori, ha comunque uno share del 9%.

Il calo di ascolti di Qui Radio Londra (dati Auditel)

Standing ovation per Giuliano Ferrara che ha comunque mantenuto la calma e non si è lasciato andare a facili isterismi. E' giusto che siano gli altri a prodigarsi in offese sterili e prive di fondamento, in cadute di stile e sfilate da saltimbanchi, come se qualcuno volesse tirare uova marce a un Benigni qualunque. Sono cose che non appartengono a Giuliano Ferrara, persona di spicco e di classe; come quando si presentò sotto l'ambasciata francese per esprimere il suo dissenso a un Sarkozy che aveva riso dell'Italia con la cancelliera tedesca Angela Merkel.

Un applauso a un uomo che fa ancora luce sulle vite oscure di questi giullari della televisione, bandiere che seguono il vento dello show business per rimanere piantati all'asta della popolarità, come un giornalista asservito prima a un potere politico e poi a un altro.

Un applauso a Giuliano Ferrara, perché è raro trovare pulpiti sani dai quali predicare il bene per il nostro Paese.

Tutti in piedi per Giuliano Ferrara, per la sua grande abilità nel tirare fuori un problema così grande, mostrarlo a tutti e infine spararlo tutto intorno a noi. Fuori dal vasino.


giovedì 3 maggio 2012

SCHIAFFI MORALI

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Il calcio italiano è anche questo: un allenatore che picchia in diretta tv un suo calciatore appena sostituito. Lui, il giocatore, è un ventenne di buone speranze indisciplinato e indisponente che ha mandato a quel paese l'allenatore. L'altro è Delio Rossi, il mister 52enne della Fiorentina che ieri sera ha perso completamente le staffe e si è scagliato sul ragazzo con schiaffi e pugni. Le immagini hanno fatto il giro del mondo in pochissimi minuti.

E' roba che non si vede tutti i giorni, diciamo mai. Chi ha giocato a calcio ricorda forse qualche scenata in leghe minori, magari negli spogliatoi, ma mai in mezzo al campo. In quei 90 minuti si cerca di stare calmi, anche perchè Ljajic, il giocatore, può aver gettato all'indirizzo di Delio Rossi anche delle parole molto offensive, ma la violenza non deve mai risolvere una controversia, soprattutto durante una partita in cui tutto il mondo ti guarda.
Chi ha giocato a calcio, dicevamo, può aver assistito a scene come questa durante un allenamento, con i compagni che cercano di dividere i due contendenti per far tornare la calma, ma in Serie A e in televisione questo non è ammissibile; come in nessun campo, del resto. Non credo nemmeno ci siano dei precedenti registrati dalle telecamere come in questo caso.

Una volta l'allenatore del Manchester United, Alex Ferguson, si arrabbiò negli spogliatoi con i suoi giocatori e calciò uno scarpino, il quale prese in testa il malcapitato David Beckham. La notizia volò come la scarpa per l'intero globo, ma è rimasta tutt'ora confinata nel semplice ruolo di aneddoto poiché nessuno ha le immagini in esclusiva di quel fattaccio. Forse è riportato in qualche libro nero del calcio, ma nulla, se non le parole, testimonia indelebilmente ciò che accadde quel giorno.
In un periodo in cui il calcio, soprattutto italiano, perde di credibilità, ci mancava solo che perdesse pure le staffe. Saltano gli schemi, non c'è più divertimento, non c'è più nessun limite alla rabbia.

Succede quindi che i fiorentini si dividano su chi dà ragione all'allenatore e chi la dà al giovane strafottente Ljajic. La verità è che non vince nessuno dei due. Perde tutta la città, perde lo sport e perdono la dignità entrambi i protagonisti.


Giustificare la violenza con cui l'allenatore ha risposto alle provocazioni di un ragazzino immaturo è deleterio e totalmente immorale. Dire che Delio Rossi ha sbagliato non significa conseguentemente schierarsi a favore di Ljajic, ma semplicemente condannare un gesto ben più grave della violenza verbale.

Si insegna a tutti i bambini: se usi la violenza, anche se hai ragione passi alla parte del torto.

Che dire allora quando Materazzi prese una testata da Zidane alla finale dei Mondiali 2006? Allora fu il calciatore italiano a provocare a parole il francese, ma chi sbagliò fu certamente il secondo che rispose con un atto deplorevole.
E quando Totti rincorse Balotelli e gli rifilò un calcione da dietro nella finale di Coppa Italia, a chi si diede ragione?
Tutti quanti sbagliano, ma solo chi è privo d'intelligenza parla con i pugni per esprimere i propri concetti.
Nel caso in questione, l'allenatore viola ha reagito d'istinto, ma non da uomo per bene qual'era fino a pochi giorni fa. Il presidente Andrea Della Valle ha dovuto obtorto collo licenziare l'allenatore che avrebbe voluto mantenere per il prossimo anno, perché dopotutto non era lui il colpevole di questa sciagurata stagione viola e, così come il vecchio mister Sinisa Mihajlovic aveva avuto due anni e mezzo di possibilità per dimostrare il suo valore, Delio Rossi avrebbe avuto senz’altro un’altra chance da tutta la città.
Peccato che abbia rovinato tutto quanto. La stagione, la sua carriera, la sua immagine e quella della Fiorentina che negli ultimi anni aveva fatto del fair play uno dei suoi cavalli di battaglia.
Adesso ci vorranno anni per ricostruire un immagine positiva della città, della società, dell'allenatore e di tutto il calcio italiano.

In Italia mancano la cultura sportiva e l'intransigenza nell'applicare leggi e buonsenso. La violenza è da punire, punto. Non ha sfaccettature o sfumature. O si è colpevoli o non lo si è.
E l'allenatore, a malincuore, è stato giustamente cacciato.